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Ben Shelton visto dal padre-coach Bryan: alle radici del nuovo fenomeno USA

In conferenza stampa Bryan Shelton ha raccontato come vive il ruolo di padre e allenatore e i principi con cui insieme a sua moglie hanno cresciuto Ben e la sorella Emma.

di | 07 settembre 2023

Bryan Shelton, padre di Ben, semifinalista allo US Open (Foto USTA)

Bryan Shelton, padre di Ben, semifinalista allo US Open (Foto USTA)

Dopo Arthuer Ashe e Frances Tiafoe, Ben Shelton è il terzo statunitense nero in semifinale allo US Open nell'era Open. Comprensibile l'orgoglio del padre coach Bryan, che nel 1992 ha raggiunto il best ranking di numero 55 del mondo e a giugno ha lasciato il ruolo di coach della squadra della University of Florida per seguire più da vicino il figlio.

"Io e la madre di Ben siamo molto orgogliosi di come stia gestendo le cose, prima fuori dal campo e poi in campo - ha detto Bryan in una conferenza stampa -. Il nostro auspicio è che continui a crescere come persona e come giocatore. Impari sempre di più dalle sconfitte che dalle vittorie, probabilmente. Perciò questa stagione per lui è stata una grande occasione di apprendimento. Ha viaggiato per il mondo, ha visto posti nuovi e giocato su superfici che non aveva ancora mai conosciuto. E ha continuato a frequentare l'università: è incredibile". Quel che rende Shelton senior più fiero, ha aggiunto, è la sua resilienza, la capacità di assorbire i colpi dopo le sconfitte e tornare ogni volta più forte, più deciso, più motivato.

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Nella curva di apprendimento due momenti scandiscono la stagione. Prima il quarto di finale all'Australian Open, ora la semifinale allo US Open. In mezzo lunghi mesi in cui non ha mai vinto due partite di fila, mesi in cui ha giocato per la prima volta in Europa, per la prima sulla terra rossa. 

Cosa è cambiato da Melbourne a New York? "L'esperienza, che può essere meravigliosa - ha detto Bryan Shelton -. Sulla terra rossa ha imparato ad essere più paziente, a difendere. Ha capito che il suo tennis offensivo deve essere davvero perfetto su quel tipo di superficie per essere competitivo contro i migliori del mondo. Ha anche compreso che deve lavorare molto sulla risposta, e ha lavorato tanto per questo". 

Non è facile, ha spiegato, essere contemporaneamente padre e coach. "Da junior non lo allenavo, stavo solo lì seduto con le mani in mano fingendo di non essere troppo nervoso. Al college, invece, ho avuto la possibilità di allenarlo ma c'erano anche altri due coach e tante volte lavorava in campo con loro, e anche durante le partite non mi facevo vedere tanto perché avrei potuto essere una distrazione per il resto del team. Gestire questi aspetti è importante, ma abbiamo un buonissimo rapporto. Posso togliermi il cappello da coach e mettere quello da padre".

Nel cercare un punto di equilibrio tra i due ruoli, Bryan ha convinto il figlio a non giocare da junior fuori dagli Stati Uniti prima di diventare il miglior Under 18 della nazione. 

Ben Shelton allo US Open (Getty Images)

"Io e mia moglie volevamo che i nostri figli crescessero come bambini e poi come giovani adulti equilibrati. E questo voleva dire vivere una vita normale, andare a scuola, farsi degli amici, avere una buona istruzione, prima dello sport. Presto abbiamo iniziato a pensare che Ben e Emma avrebbero praticato sport a livello professionistico. E ho sempre avuto un approccio inside-out. Se sei capace di dominare nel tuo cerchio ristretto, allora puoi andare un po' più in là ma sempre un passo alla volta".

Molti, sostiene, "hanno paura di vedere qualcuno che passa davanti al loro figlio" e quindi non si mettono in competizione a livello locale. "Per noi, invece, è tutta una questione di sviluppo - ha concluso Bryan Shelton -, prima del carattere e poi del gioco".

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