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Il coach di Jannik Sinner, Simone Vagnozzi, presenta la finale dell'Australian Open contro Daniil Medvedev
di Dario Castaldo, da Melbourne | 27 gennaio 2024
“È una bellissima emozione essere qui, ma cerchiamo di viverla serenamente. L’importante è che Jannik capisca che quella di domani sarà una partita importantissima ma non sarà la partita decisiva della sua carriera. Sarà la sua prima finale Slam, ma non sarà l’ultima”. Simone Vagnozzi, coach dell'azzurro, racconta a SuperTennis le emozioni della vigilia del dì di festa mentre Melbourne Park è frequentata da pochi appassionati, accorsi nel primo pomeriggio di sabato per assistere alle finali dei tornei juniores e per respirare un’atmosfera ancora pregna di tennis.
Il sole va e viene, il vento anche. L’aria è piatta, in attesa di esplodere domani nell’atto finale, quello che per la prima volta nella storia degli Open d’Australia vedrà in campo un azzurro. Jannik Sinner affronterà Daniil Medvedev a 48 ore dal successo contro Novak Djokovic, il deicidio che ha fatto alzare dalla sedia e gridare al miracolo mezzo mondo. Quello nel quale Sinner è stato eccezionale in avvio e superlativo di fronte al colpo di reni del campione serbo.
“Da Djokovic ti aspetti sempre che possa innestare un’altra marcia, per cui dopo i primi due set non mi ero illuso che fosse finita – racconta Simone Vagnozzi -. Jannik è stato bravo a farsi trovare preparato quando Nole è entrato in partita e poi è stato bravissimo a non farsi abbattere quando non ha convertito il match point e la partita si è allungata al quarto set”.
Australian Open, la gioia di Jannik Sinner (Getty Images)
Contro Nole, e più in generale nell’arco della trasferta melbourniana, il 22enne di Sesto Pusteria ha mostrato evidenti progressi sul piano tecnico e atletico. Miglioramenti, quest’ultimi, figli del lavoro specifico del preparatore Umberto Ferrara.
“Quando a dicembre siamo andati ad Alicante, ci siamo concentrati sull’aspetto fisico, sui carichi di lavoro pesante, e anche per questo abbia preferito non giocare altri tornei prima degli Australian Open. Per quanto riguarda il campo, ci siamo invece concentrati sul consolidamento del servizio, sulla variazione delle traiettorie durante i punti, sull’aggiunta di qualche slice, sulle discese a rete. Quando in questo torneo ha fatto tutto ciò, lo ha fatto bene. Il percorso è a buon punto, ma siamo dentro un processo nel quale Jannik è il primo ad essere consapevole che si può ancora migliorare molto”, aggiunge il 41enne tecnico di Ascoli Piceno.
Proviamo a far presente che in un mondo ideale, nell’iperuranio, si potrà anche fare molto meglio di così, ma che il Sinner visto a Melbourne Park rasenta la perfezione. A cominciare dal fischio d’inizio, quando aggredisce i match, strappando servizi agli avversari quando il break fa più male – all’inizio e alla fine dei set.
Simone Vagnozzi conferma che anche quell’aspetto è frutto di un lavoro specifico. “Premetto che Jannik certe cose ce le ha dentro, nel senso che riesce a vivere bene i momenti di pressione, che a lui piace vivere e affrontare certe tensioni. D’altra parte è vero che è progredito anche nella gestione dei vari momenti degli incontri, nel senso che un tempo era un diesel, partiva piano, per poi recuperare. Adesso invece ha imparato che l’intensità deve essere sempre alta, anche se questo non significa che tutti i punti vadano giocati allo stesso modo”.
In altre parole, anche sul killer instinct si può lavorare. O almeno sul killer instinct di Jannik Sinner si può lavorare. Perché con Jannik Sinner in assoluto si può lavorare bene, sapendo che il ragazzo assorbirà gli input e li trasformerà in preziosi 15. A differenza di altri, però, i risultati non hanno cambiato di una virgola la sua predisposizione all’ascolto, anzi. “Jannik non è cambiato rispetto a quello che ho trovato nel febbraio del ’22 – racconta Simone Vagnozzi -. È un ragazzo che ha voglia di ascoltare e di migliorarsi. Il fatto che questo percorso lo abbia portato a determinati risultati gli ha dato ulteriore fiducia nel team che ha intorno. Questo aspetto, l’unità di intenti nel team, è visibile anche da fuori”.
In quanto (parzialmente) umano, però, anche Sinner ha dovuto smussare alcuni spigoli. ”È molto facile lavorare con Jannik tecnicamente, sul singolo colpo... sulla smorzata, sulla volée, sul servizio eccetera. Forse è stato meno facile farlo pensare in campo, perché lui è un giocatore molto istintivo, che amava giocare seguendo l’istinto. Ma per farlo arrivare tatticamente al livello dei Djokovic e dei Medvedev bisognava portarlo a fare cose più studiate e scelte più pensate. Il passaggio non e stato del tutto indolore, ma lui ha comunque capito l’importanza di questo cambiamento. I risultati si sono visti e ci hanno dato ragione”, spiega Vagnozzi, che prima di prendere sotto la sua ala protettrice Sinner aveva portato Marco Cecchinato a tre titoli ATP, alla semifinale del Roland Garros (anche lì battendo Djokovic strada facendo) e al sedicesimo posto della classifica.
Sinner vs Djokovic, il film della partita
Dopodiché, oltre al fisico, alla tecnica e alla tattica, ci sono dei dritti incrociati che cambiano la storia di alcuni incontri e – forse – di alcuni tornei, come quello sparato contro Rublev sul 2-5 nel tie-break del secondo set. O i break nell’undicesimo gioco - dopo che il tuo avversario ha appena messo a segno il point of the match - come contro Khachanov. Domani arriva un altro russo, quello considerato meno promettente, ma che attraverso tanto lavoro e un’enorme intelligenza tennistica si è costuito una carriera luccicante. Daniil Medvedev ha già messo in bacheca un titolo Slam (UsOpen 21) e giocato altre quattro finali (Us Open 19 e 23, Australian Open 20 e 22).
Ex bestia nera di Jannik, dopo essere aggiudicato i primi 6 confronti diretti, Medvedev ha perso gli ultimi 3, tutti giocati nello splendido autunno sinneriano del ’23. Come se non bastasse, in questo torneo il 27enne moscovita si è ritrovato due volte con un piede nella fossa prima di trovare la forza di uscirne, tanto nei quarti contro Hurkacz quanto in semifinale contro Zverev. I numeri, insomma, direbbero che Jannik arriva meglio alla finale dell’Happy Slam.
Prima di lasciarci per iniziare l’ultima sessione di allenamento – sulla Margaret Court contro il junior norvese Nicolai Budkov Kjaer – per “mettere a punto un paio di dettagli che domani potrebbero fare la differenza”- Simone Vagnozzi parla dell’incontro che potrebbe riportare al tennis maschile italiano un titolo Slam che manca da 47 anni, 7 mesi e 13 giorni. “Sappiamo che campione è Medvedev – dice Simone -. Qui sembrava morto tantissime volte, ma alla fine ce l’ha sempre fatta, tirandosi fuori da situazioni estremamente difficili. Sarà un match complicatissimo, nel quale il fatto che Jannik sia rimasto in campo meno di lui è un piccolo vantaggio. Viceversa, il fatto che Sinner abbia vinto le ultime 3 volte non è fondamentale, ma può dargli la spinta per scendere in campo con la stessa fiducia con la quale ha affrontato Djokovic. La finale di qualsiasi torneo è diversa dalle altre partite e domani in particolare ci saranno tante emozioni. Vediamo chi riuscirà a gestirle meglio”.
In questo senso possono tornare utili tanto l’affetto della gente quanto le esperienze maturate da Cahill al fianco di gente del calibro di Andre Agassi, Lleyton Hewitt e Simona Halep. “Col suo ingresso nel team, Darren ha portato tanta calma e tanta gioia. Ha già vissuto questi momenti molte volte e sicuramente ci darà una mano per riuscire a viverla nel modo migliore, per riuscire a controllare le emozioni in campo. Speriamo ovviamente che il risultato finale faccia tutti contenti, ma credo che l’aspetto principale sarà far capire a Jannik che quella di domani è una partita sì importantissima, ma che non è la partita della svolta, che non sarà la partita decisiva della sua carriera. Comunque andrà il match, se Jannik continuerà a lavorare con il giusto metodo e con la giusta intensità, ce ne saranno altre”.
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