“Due manine deliziose ti sapranno accarezzar, ma due gambe un po' nervose ti faranno innamorar” cantava il trio Lescano. In tanti si sono innamorati di quelle di Hana Mandlikova. “Sono le più belle che abbia mai visto”: parola di Ginger Rogers (lo diceva a Wimbledon nel 1981), che un po' se ne intendeva. Ha conquistato quattro Slam in singolare su otto finali. È una delle sole 13 giocatrici nell'era Open ad aver giocato la finale di tutti e quattro gli Slam, una delle sei ad aver vinto almeno un Major su tre superfici diverse (duro, terra, erba). Come lei, ci sono riuscite solo Chris Evert, Steffi Graf, Martina Navratilova, Maria Sharapova, Serena Williams. Eppure, negli anni Ottanta Mandlikova non è un nome da copertina. Evert, Graf, Navratilova, Gabriela Sabatini, Tracy Austin attirano luci, titoli, conquistano l'affetto, si guadagnano rispetto. Mandlikova ha un tennis di grazia e verticalità, un rovescio in top di rara eleganza, una velocità di spostamento e piazzamento a rete che le valgono i paragoni con Maria Bueno o Evonne Goolagong, icone di stile e fluidità. Ma fuori dal campo, Mandlikova è autentica. Autenticamente ruvida. “Sono una persona semplice”, racconta in un lungo articolo su Sports Illustrated del 1985, “è tutto bianco o nero, vero o falso”. Ci ha messo un po' a imparare tutte le sfumature del grigio.