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“Quando ha cominciato, a circa 10 anni, non ci credevo che non avesse mai giocato prima: gli veniva naturale”. Lasciato il settore giovanile del Torino, il piemontese ha cominciato un’altra strada. E anche il suo allenatore. Ce la racconta lui in prima persona…
di Enzo Anderloni | 25 giugno 2019
Non è mai troppo tardi: lo diceva negli Anni Sessanta il maestro Alberto Manzi alla tv. Insegnando l’italiano agli Italiani. Questo slogan che ha fatto epoca potrebbe adattarsi benissimo a un altro maestro, questa volta di tennis: Gian Piero ‘Gipo’ Arbino, il mentore della rising star azzurra Lorenzo Sonego, n.75 del mondo alla vigilia del torneo di Wimbledon.
Gipo ha cominciato a giocare a tennis tardi. A 18 anni, per merito di una ragazza che gliel’ha fatto provare un’estate, su un campo dell’oratorio di Rivalba, due passi da Sciolze, collina torinese. Si è entusiasmato e da autodidatta puro è arrivato fino alla Seconda Categoria. Era molto portato, andava a rete come un kamikaze. Ma per diventare un giocatore vero era troppo tardi.
Così lui, col suo diploma di geometra, andò a lavorare per la Vagnone&Boeri Abrasivi. Vendeva prodotti come il Rust Oleum, “un protettivo industriale che si poteva dare anche sulla ruggine. Una cannonata. Era caro ma funzionava bene”. E il lavoro gli andava bene.
La passione per il tennis però restava forte e, quando ormai poteva sembrare troppo tardi, prese anche una lezione, dal maestro Leontino Greguoldo. Questa però gli serviva per ripulire la tecnica in vista del corso di allenatore-istruttore Fit che si era messo in testa di fare. Quando ebbe il diploma si rese conto che non era troppo tardi per provare una carriera professionistica con la racchetta, una carriera da insegnante.
Un saluto al posto fisso ‘geometrico’ e sette anni sui campi al Lido Royal di Corso Moncalieri a Torino che l’aveva chiamato. Poi un periodo al Green Park di Rivoli. Cinque anni alle Pleiadi, da direttore tecnico. Poi allo Sporting Stampa, il circolo storico dove prima crea il suo team e poi diventa direttore tecnico: 14 anni in tutto. Quindi all’Ace di Volvera. Poi ancora al Green Park, dove nel 2014 si ferma e crea un nuovo team.
In tutta questa vita da tennis tanti allievi bravi: la Gagnor che arriva in semifinale alla Lambertenghi, Alberto Giraudo, con un gruzzolo di punti Atp che lo portano fino a n.495 del mondo. Allena anche Stefania Chieppa e Silvia Disderi, che arrivano intorno al n.300 Wta. Mancava la grande opera, quella di respiro assoluto. Forse per quella era troppo tardi. E invece no, come diceva il maestro Manzi. Non è mai troppo tardi. La grande opera si chiama Sonego.
“A Lorenzo ho messo in mano la racchetta ai tempi dello Sporting – racconta - Aveva 10 anni e mezzo, undici. Giocava a calcio nelle giovanili del Torino. Suo padre Giorgio, che conoscevo perché avevamo fatto dei doppi insieme (tipo Pro Am, un C1 e un ennecì) e giocava benino, lavorava per una multinazionale americana, me lo porta e io gli faccio fare la prova con il responsabile della Sat”.
Hai capito lì che aveva qualcosa di speciale?
“Ci fu un ‘quindici’ che mi rimase impresso e mi fece pensare che quel ragazzino fosse davvero un fenomeno. Mi ricordo che in quel punto, dopo 1000 scambi, l’altro gli fece una smorzata e lui, che era davvero lontanissimo, arrivò comunque e in scivolata gli fece una ‘controsmorzatella’ deliziosa. Una roba impossibile anche per un fenomeno. Si era coordinato sufficientemente bene da riuscire a fare questo colpo dopo uno scatto pazzesco. E’ una cosa che fa spesso anche oggi. E sempre benissimo”.
Grande, alto, come lo vediamo oggi vien spontaneo pensare che sia un attaccante, un bomber nato. E invece era un lottatore da fondo?
“Lui nasce come ‘rematore’ assoluto. Infatti farlo passare da quel tipo di mentalità a quella odierna non è stato facile. Ancora oggi ha i ‘postumi’ di quel modo di giocare. Ogni tanto si tira indietro e aspetta l’errore dell’altro quando invece potrebbe aggredire, far male. E’ stata lunga, dura e abbiamo anche perso del tempo e un mucchio di partite cercando di giocare sempre all’attacco. Perché spesso lui esagerava, cercava di tirare troppo forte. C’è stata una fase in cui mancava equilibrio tra la costruzione del punto e l’accelerazione. Tirava tutto”.
Perché in realtà di suo avrebbe ‘tenuto’?
“Certo”.
Però questa grandi difesa istintiva è una dote che potrebbe venirgli benissimo in tante situazioni. Anche Federer ha vinto e vince punti-chiave di sfide importantissime difendendosi, ‘remando’ persino lui…
“Sì, sono d’accordo. Il difficile però, e anche Federer ci ha lavorato, è essere pronti a passare, alla prima occasione, dalla quella fase difensiva di nuovo in attacco. Avvicinarsi alla palla e fare gioco”.
Tu e Sonego lavorate insieme da 12 anni. Prima di lui però avevi già cresciuto Chieppa, Disderi, Giraudo, altri ragazzi in gamba che però non sono approdati alla Top 100. Qual è la differenza: è più bravo lui o sei migliorato anche tu nel tempo, hai fatto meno errori?
“Sicuramente io ho fatto meno errori: il tempo mi ha creato una scorta di esperienza che mi è servita molto. Però Lorenzo ha delle caratteristiche fondamentali, che per esempio un Giraudo non aveva. A Lorenzo, per esempio, non pesa girare per tornei. Giraudo aveva tutto: fisico, colpi, era persino più potente di Lorenzo. Si muoveva meno bene di lui perché pesava 85 kg. Lorenzo ne pesa 74, è filiforme, però si muove come un fulmine anche se è alto un mero e 90".
Tra dentro e fuori dal campo il tuo rapporto con Lorenzo com’è?
“Mi parla poco della sua vita privata. Quando ha bisogno mi chiede. Però ha molta fiducia e mi considera quasi un secondo padre”.
Che ruolo riveste la sua famiglia?
“La famiglia è molto importante. Lui ha un buon rapporto con i suoi. Sono separati da tre/quattro anni ma siccome sono persone intelligenti riescono a gestire la situazioni senza creare problemi al ragazzo. Lorenzo non ne ha risentito più di tanto, perché essendo già grande ha capito la situazione. Lui vive con la mamma. Tra me e lui c’è un feeling eccezionale, a livello di simpatia, di stima, di affetto. Da un punto di vista professionale io sono molto deciso con lui, lo tratto esattamente come quando era ragazzino o come quando è diventato un seconda categoria, un2.4. Ora che è tra i primi 100 del mondo non ha cambiato il suo atteggiamento o io il mio. Non se la tira o non ha smesso di ascoltare. Anzi mi chiede di essere presente sempre di più, di guardarlo, di seguirlo. Ogni tanto si ferma perché sente di aver bisogno di rimettersi a posto. Di essere seguito da me personalmente, di rivedere determinate cose, di ricaricare le pile”.
Tu cosa ti aspetti da lui e lui cosa si aspetta da se stesso?
“Lui è convinto al 100% di diventare un giocatore fortissimo. A Genova, lo scorso anno, nell’intervista subito dopo la vittoria del torneo, gli hanno chiesto: nel 2017 qui ha vinto Tsitsipas, potrebbe essere di buon auspicio per te, cosa ne dici? Lui è molto forte, ha risposto, ha fatto benissimo quest’anno, ma io penso di fare meglio di lui. Zitto zitto, è uno che parla poco, sa di avere molte cose ancora da imparare ma non si pone limiti. E quando perde, quando sbaglia, pensa che la prossima volta non succederà. Che non perderà più. E’ molto fiducioso in se stesso. E questo dà uno stimolo in più a me. Perché devo dire che io come tecnico vedo che ha margine, ma sentirlo così sicuro mi dà molta soddisfazione ma anche stimolo a proseguire, a fare comunque una vita dura”.