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Le parole delle protagoniste delle WTA Finals sulla decisione di organizzare il torneo in Arabia Saudita. Univoca la convinzione che la loro presenza possa portare un esempio positivo ed essere stimolo per un cambiamento per le giovani donne e atlete
di Alessandro Mastroluca | 01 novembre 2024
Molti lo vedono come un modo per ripulire l'immagine internazionale dell'Arabia Saudita. Le protagoniste ne parlano come di un'occasione per lanciare un cambiamento. La prima edizione in Arabia Saudita delle WTA Finals, il più grande evento sportivo internazionale femminile organizzato nel Paese, conferma quanto lo sport sia centrale per dare sostanza al piano "Vision 2030" del principe Mohammed Bin Salman.
Il piano ha l'obiettvo di ridurre la dipendenza dell'economia nazionale dal petrolio, ma secondo molti l'investimento nello sport è solo "sportwashing", ovvero un tentativo di ripulire la reputazione internazionale dell'Arabia Saudita dove ancora lo scorso gennaio Manahel al-Otaibi, istruttrice di fitness di 29 anni, è stata condannata a 11 anni di carcere al termine di un processo segreto per “reati di terrorismo”, dimostrati secondo la corte da tweet a sostegno delle donne e foto senza l’abaya, la tunica tradizionale che devono usare le donne saudite per coprirsi il corpo.
Andare a giocare in Arabia pone indubbi terrogativi di tipo etico, soprattutto a poche settimane dalla protesta di oltre 100 calciatrici di 24 nazioni che hanno chiesto alla FIFA di rompere gli accordi con Aramco, la compagnia petrolifera saudita, poiché si tratta di un "regime autocratico che viola in maniera sistematica i diritti delle donne e criminalizza la comunità Lgbtq+".
Ma, come in occasione della partecipazione al torneo di Johannesburg del 1975 di Arthur Ashe, primo nero nella storia del torneo nel Sudafrica dove vigeva il regime dell'apartheid, lo sport può dare anche un messaggio, non solo di facciata, e ispirare il cambiamento. Ne sono convinte le protagoniste del torneo, che nel corso del Media Day, le conferenze stampa della vigilia, hanno risposto a specifiche domande sulla loro prima volta in Arabia Saudita.
Non stupisce, viste le sue posizioni molto forti ed esplicite in favore delle rivendicazioni di movimenti come Black Lives Matter, l'articolata risposta di Coco Gauff. "Mentirei se dicessi che non avevo riserve nel venire qui - ha detto -. Ero presente ad ogni possibile call con la WTA. Una delle cose che ho detto è stata: se veniamo qui, non possiamo semplicemente arrivare, giocare e andarcene. Dobbiamo avere un programma concreto, un piano".
Gauff, che per la foto ufficiale ha scelto un abito disegnato dal celebre stilista locale Yousef Akbar ha spiegato di aver parlato più volte con la principessa Ameera al-Taweel, figlia di un appartenente al ramo cadetto della dinastia regnante, che ha più volte parlato pubblicamente in favore dell'emancipazione femminile nel suo Paese. "Le abbiamo chiesto quale fosse l'approccio migliore per entrare in questo posto diverso Per me è stato importante, una delle domande che ho fatto è stata come avremmo potuto aiutare per quanto riguarda le questioni dei diritti delle donne e della comunità LGBTQ+. Sono consapevole che non possiamo venire qui e cambiare tutto"
Gauff ha confessato che suo padre "era decisamente preoccupato perché venivo a giocare qui". La statunitense ha espresso chiaramente il suo obiettivo fuori dal campo. "Voglio vedere se ci sarà un cambiamento. Se dovesse vedere che non succede niente, o se non dovessi sentirmi a mio agio, magari non tornerei. Per quanto posso dire stando qui da una settimana, sento che un progresso c'è e le persone con cui ho parlato me l'hanno confermato. Non vivendo qui, posso solo fidarmi di quello che mi dicono".
Alle call con la WTA di cui ha parlato Gauff, ha partecipato anche la campionessa di Wimbledon Barbora Krejcikova. "Quando è emersa questa possibilità abbiamo fatto molte domande, e alla maggior parte è stata data una risposta. Se la nazione vuole aprirsi, vuole cambiare qualcosa delle sue tradizioni, penso che dovremmo essere aperte a questa nuova opportunità. Spero che possiamo portare un cambiamento qui".
Più prudente l'approccio di Iga Swiatek. "Sono venuta senza grandi aspettative. Sto cercando di osservare, di imparare come funziona tutto, di istruirmi - ha detto -. Le persone ci hanno accolto benissimo fin dal primo minuto".
Non ha alcun problema, almeno così spiega in conferenza stampa, la numero 1 del mondo Aryna Sabalenka. "Avevo già giocato qui un'esibizione con Ons Jabeur - ha detto -. Penso sia importante portare il tennis in tutto il mondo e ispirare le nuove generazioni. Qui hanno fatto un grande sforzo per lo sport femminile, sono felice di essere qui e di far parte in un certo senso della storia".
Jasmine Paolini e Elena Rybakina, avversarie nel secondo match della prima giornata, hanno sottolineato il valore dell'esempio. Vedere le migliori giocatrici al mondo competere può essere un punto di partenza. "Penso che sia buono per la nazione ospitare una competizione con le migliori tenniste del modno. Siamo donne che lavorano. Siamo indipendenti. E' positivo per promuovere questo tipo di competizione in questa nazione. Due anni fa ho parlato con ragazze che stanno iniziando a giocare a tennis. Credo che abbiano fatto un buon lavoro qui nel coinvolgere le ragazze che stanno cominciando a fare sport. Può essere molto positivo per i diritti delle donne qui" ha detto Paolini.
Ne è convinta anche Rybakina, che pure premette, in risposta a una specifica domanda su eventuali preoccupazioni nel giocare in Arabia Saudita: "Non so esattamente cosa sia meglio dire". La kazaka è sulla stessa lunghezza d'onda della toscana. "Se mostriamo il tennis femminile qui, molte persone verranno a vederlo e penso che sia una gran cosa" ha detto.
Qualcosa, in termini di effetti concreti, stando alle parole di Jessica Pegula, si starebbe già vedendo. "Siamo già riuscite a fare molto per le giovani donne - ha detto la statunitense -. Ho incontrato molte persone che mi hanno detto quanto sia straordinario vederci giocare qui, quanto tutto questo aiuterà lo sport e le giovani atlete. Una donna mi ha detto ieri che 60 mila bambine fanno sport a scuola. Due giorni fa qui ci sono stete le Special Olympics e diverse ragazze hanno detto che hanno iniziato a giocare o a prendere lezioni di tennis. In momenti come questo sento che stiamo facendo cose buone. Penso che venire qui sia stata la decisione giusta". Certo, Pegula non si nasconde: ci sono pro e contro. Ma, sottolinea, "se vedi che stai cambiando le vite delle ragazze, penso che crei un precedente per quello che stai cercando di ottenere".
Elena Rybakina in conferenza stampa alle WTA Finals (Getty Images)
Più distaccata, infine, la posizione della cinese Zheng Qinwen. "Dovunque vada, gioco solo a tennis: per me è solo un torneo. Entro in campo, gioco contro un'altra avversaria, tutto qua. Credo comunque che lo sport è un bel modo per mostrare il potere delle donne, per mostrare l'energia, lo spirito combattivo. Sento sempre questo tipo di responsabilità sulle mie spalle".
Esserci, dunque, può fare la differenza. Come ha detto il regista Wim Wenders, infatti, "la decisione più politica che puoi prendere è dove dirigere lo sguardo delle persone. Scegliere cosa mostrare giorno dopo giorno è un atto politico. E per indottrinare qualcuno, la cosa più politica che puoi fare è mostrargli, ogni giorno, che un cambiamento non ci può essere". Con le loro storie, le protagoniste delle WTA Finals dimostrano esattamente l'opposto.