

Nuova puntata della storia dello US Open in cui riviviamo i protagonisti e i duelli simbolo degli anni Novanta. Spazio anche all'inaugurazione dell'Arthur Ashe Stadium nel 1997
di Alessandro Mastroluca | 24 agosto 2024
Gli anni Novanta si annunciano come anni di cambiamento allo US Open. Nell'edizione 1990 il neo numero 1 del mondo Stefan Edberg perde al primo turno contro Alexander Volkov. Ivan Lendl, finalista nelle otto edizioni precedenti, cade ai quarti contro Pete Sampras, "un ragazzo di 19 anni con un gran servizio, un gran dritto e un gioco di volo asfissiante" scrive Luca Marianantoni. Pistol Pete ha battuto negli ottavi Thomas Muster in una sessione serale tempestosa, tra vento, tuoni e fulmini. Dopo il successo su Lendl. "la semifinale Sampras-McEnroe certifica il passaggio di consegne. Nell'altra Becker gioca un gran primo set (vinto 12-10 al tie-break) contro Agassi, ma cede alla distanza all'odiato rivale. Il 9 settembre a ridere sotto i baffi è Nick Bollettieri, il guru che ha scoperto e cresciuto i due rampolli americani e che ora si appresta a vederli lottare con in palio un titolo così grande. Sull'Armstrong Bollettieri va a occupare un posto nel box del giocatore di origini greche e questo amareggia il Kid di Las Vegas. E' una finale senza storia: 6-4 6-3 6-2 e Sampras diventa "Pistol Pete".
I giovani Sampras e Agassi nel 1991 lasciano il palcoscenico al veterano Jimmy Connors, che festeggia i 39 anni in campo e arriva fino in semifinale. "Sono stati gli undici giorni migliori della mia carriera, e non ho nemmeno vinto il torneo. In quegli undici giorni ho sentito il rumore che volevo sentire da parte del pubblico. Non erano più ventimila tifosi, erano ventimila pazzi tifosi che volevo spingere qualcuno come mai avevano fatto prima" ha raccontato Connors parlando di quel suo shakespeariano US Open 1991, che abbiamo raccontato qui.
Il titolo lo vince Stefan Edberg che si ripete un anno dopo. Non è affatto semplice il percorso dello svedese a Flushing Meadows nel 1992. Gioca 22 ore e 22 minuti in totale, scende a rete 981 volte. Le quattro partite dagli ottavi alla finale durano 203 game: piega al quinto set il numero 15 del tabellone il numero 15 Richard Krajicek, il numero 9 Ivan Lendl, il numero 4 Michael Chang nella partita più lunga giocata allo Us Open (cinque ore e 26 minuti) e in finale il numero 1 Pete Sampras. E' la sua sesta e ultima finale Slam.
Pistol Pete ritorna nell'albo d'oro nel 1993, dopo la vittoria sul francese Cédric Pioline, che a sorpresa ha eliminato Jim Courier. E si alterna con Agassi, campione nel 1994 dopo un'operazione al polso che l'aveva tenuto lontano dai campi fino a marzo. Agassi non è testa di serie. Ne batte cinque, di giocatori nella lista dei favoriti in base alla classifica: la numero 12 Wayne Ferreira, la 6 Michael Chang, la 13 Thomas Muster, la 9 Todd Martin e in finale la 4 Michael Stich, campione a Wimbledon nel 1991. Nella sfida per il titolo Agassi domina la scena. Vince 61 76 75 e lascia solo 13 punti negli ultimi 13 turni di battuta. E' il primo campione dello US Open, uomo o donna, non testa di serie dal 1966 (Fred Stolle).
Gli anni Novanta restano il decennio del dualismo Sampras-Agassi. Pistol Pete batte l'arci-rivale nella finale dello US Open 1995, rivincita della sconfitta subita a inizio stagione all'Australian Open, e si conferma campione nel 1996. La partita simbolo del suo torneo è il quarto di finale contro Alex Corretja in cui lo statunitense arriva a vomitare a bordo campo ma resiste e vince al tie-break del quinto set. "Il peggio è passato, batte Ivanisevic in semifinale in quattro set dopo aver mancato tre match point consecutivi nel tie-break del terzo set e infine piega Chang in finale in tre set dopo aver salvato un set point che allungherebbe pericolosamente la partita al quarto" ricorda Luca Marianantoni.
A fine stagione sarà numero 1 del mondo per il quarto anno di fila: è sua la migliore percentuale di partite vinte (oltre l'85%) e anche il record di tornei vinti (8).
Nell'albo d'oro seguono i due trionfi consecutivi di Pat Rafter, primo australiano a vincere lo US Open dai tempi di John Newcombe nel 1973, e il successo di Agassi su Todd Martin nel 1999 al termine della prima finale di singolare maschile al quinto set dal 1988. Ma nel frattempo Flushing Meadows ha cambiato volto.
Nel 1997, a vent'anni dall'ultima edizione a Forest Hills, giocata nel 1977, lo US Open si rifa il look. La decisione è stata presa nel 1993 tra la USTA e l'allora sindaco di New York, il democratico David Dinkins. Anche se è stato sottoscritto un mese dopo la sconfitta di Dinkins alle elezioni contro il repubblicano Rudolph Giuliani.
Il progetto prevede l'allargamento del centro e la costruzione di un nuovo centrale, l'Arthur Ashe Stadium. lo stadio da tennis all'aperto più grande del mondo. 23.771 i posti a sedere, a cui si aggiungono 90 suite di lusso e cinque ristoranti.
La prima partita nel nuovo stadio la gioca Chanda Rubin, campionessa in doppio all'Australian Open nel 1996, che però vince appena quattro game contro la ventenne thailandese Tamarine Tanasugarn. Subito dopo, in quella prima sessione sull'Arthur Ashe Stadium, debutta a New York Venus Williams che batte la lettone Larisa Neiland e inizia il percorso che la porterà alla prima finale Slam. Emozionante la cerimonia che precede la prima sessione serale nel nuovo stadio. Cerimonia a cui non prende parte il sindaco Giuliani, criticato per questo da John McEnroe. Mentre partono i fuochi d'artificio Whitney Houston canta “One Moment in Time” e la dedica ad Ashe, alla presenza della vedova del campione, Jeanne Moutoussamy-Ashe.
La cerimonia di inaugurazione dell'Arthur Ashe Stadium in occasione dello US Open 1997 (Getty Images)
Per quanto riguarda il torneo femminile, gli anni Novanta si aprono con quello che resterà l'unico trionfo Slam in singolare di Gabriela Sabatini. L'argentina perde solo 13 game nei primi quattro match contro Kathy Jordan, Isabelle Demongeot, Sabine Appelmans e Helena Sukova. Poi supera nei quarti Leila Meskhi e in semifinale, in tre set, Mary Joe Fernandez, in uno dei match migliori del torneo. In finale ritrova Steffi Graf che l'ha battuta 18 volte nei primi 21 confronti diretti. Ma non quella volta. Sabatini trionfa 62 76. "Era il momento che aspettavo da tutta la vita nel tennis. A me piaceva tantissimo giocare a New York. Vincere l'ultimo punto mi ha fatto toccare il cielo con un dito. Era la risposta a tutti i sacrifici fatti nella vita" ha raccontato a SuperTennis.
L'anno successivo si affaccia a New York la stella di Monica Seles. La jugoslava, prototipo del power tennis con diritto e rovescio a due mani, nel 1991 e 1992 completa tre quarti di Grande Slam: le manca solo il trionfo a Wimbledon. A Flushing Meadows è imbattibile. Nel 1991 batte in finale Martina Navratilova, nel 1992 lascia sei game alla spagnola Arantxa Sanchez Vicario. Nel 1993 uno squilibrato che si dichiarava tifoso di Steffi Graf la accoltella in campo, duantre il torneo di Amburgo. "Non era mai successo prima, non sarebbe mai successo dopo. Quella tragedia ha completamente cambiato il corso della mia carriera" ha detto. In quel 1993 Graf torna a trionfare a New York in finale su Helena Sukova.
Monica Seles, dagli Slam alle lacrime
La tedesca è per lo US Open femminile degli anni Novanta quel che Ivan Lendl è stato per il torneo maschile negli anni Ottanta. Perde la finale del 1994 contro Arantxa Sanchez, vince quella del 1995 e del 1996, sempre su Monica Seles. Quello del 1996 è il suo quinto e ultimo titolo a New York.
L'anno successivo, il primo con l'Arthur Ashe Stadium ad arricchire la sede di Flushing Meadows, apicca il talento della non ancora diciassettenne Martina Hingis. La svizzera, campionessa all'Australian Open e a Wimbledon in que 1997, diventa la più giovane campionessa allo US Open. In finale piega la 17enne Venus Williams, prima debuttante arrivata a giocarsi il titolo dal 1978, la prima nera in finale in singolare femminile e la prima finalista non testa di serie dal 1958.
Il decennio si chiude con il trionfo di Lindsay Davenport, prima campionessa di casa in sedici anni e futura numero 1 del mondo, e di Serena Williams, il "Millennium Bug" dello US Open. Il suo torneo nel 1999 inizia con due vittorie di routine sulla statunitense Kimberly Po e la croata Jelena Kostanic. Al terzo turno supera in tre set una sedicenne di cui avremmo molto sentito parlare, la belga Kim Clijsters. Serena deve ancora compiere 18 anni, e conquista il pubblico con la potenza del suo tennis, la chiarezza di un gioco che sembra venire dal futuro. Negli ottavi, è palese lo scontro generazionale con la spagnola Conchita Martinez che ha vinto quattro anni di fila gli Internazionali d'Italia e ha trionfato a Wimbledon nel 1994. Nel primo set è la spagnola a comandare, con i suoi colpi profondi e carichi di top-spin. Dal secondo, Serena ribalta la scena, rimonta, e chiude la partita con il dodicesimo ace del match.
La marcia continua nei quarti contro Monica Seles, il suo idolo quando aveva iniziato a giocare: ha vinto nove Slam, ma dopo essere stata accoltellata nell'aprile 1993 non è più tornata quella di prima. A fine match, papà Richard alza l'indice della mano come a dire: "Numero 1". Ha l'atteggiamento della numero 1 quando doma la campionessa in carica Lindsay Davenport in semifinale e raggiunge la sua prima finale Slam in carriera. In conferenza stampa rivela ai giornalisti che sta raccogliendo le foto di lei pubblicate sui grandi quotidiani nazionali.
In finale non c'è il derby in famiglia, perché Hingis ha battuto Venus nell'altra semifinale. E' un segnale che conferma quanto ha sempre affermato papà Richard: Serena è migliore di Venus, è più cattiva. In finale, la potenza di Serena neutralizza, cancella il tennis ricamato e ragionato di Hingis.Quando il gioco si fa duro, nessuna gioca come lei. "Sentivo che non potevo perdere" dirà in conferenza stampa. E le gioie non sono finite. "Non pensavo che la mia giornata potesse migliorare - ha spiegato -. Poi mi hanno detto che il presidente degli Stati Uniti voleva parlarmi".
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