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Lo scozzese in passato ha scelto Ivan Lendl, il serbo ha voluto come coach Boris Becker. Memorabili anche le partnership tra Roger Federer e Stefan Edberg, e tra Rafa Nadal e Carlos Moya
di Alessandro Mastroluca | 07 dicembre 2024
La scelta di Novak Djokovic di affidarsi a Andy Murray ci ha offerto la coppia giocatore-allenatore più attesa del 2025. I due amici, poi diventati rivali, avversari per 36 volte in campo, si ritroveranno dalla stessa parte almeno fino all’Australian Open.
È già successo che un numero 1 del mondo abbia accompagnato da coach un giocatore già arrivato alla posizione di numero 1 ATP, o che lo abba aiutato a diventarlo.
Una di queste partnership di successo ha coinvolto proprio Andy Murray che in tre momenti diversi ha scelto come coach Ivan Lendl, cecoslovacco di nascita, numero 1 del mondo per 270 settimane che destò scalpore per la sua decisione di chiedere la cittadinanza USA.
Murray gli ha chiesto aiuto dopo aver perso le prime quattro finali nei major. Lendl l'ha aiutato a impostare un diritto più offensivo e dal movimento più corto. Ma soprattutto lo mise in contatto con la psicologa dello sport che gli aveva cambiato la carriera, Alexis Castorri, rimasta da allora in contatto con Lendl. Il fratello di Alexis, Rob, era uno dei dirigenti, all'epoca, della International Junior Tennis Academy di Lendl South Carolina.
Con Lendl, Murray ha vinto lo US Open 2012, in finale su Novak Djokovic, e Wimbledon 2013: fu il primo britannico a trionfare ai Championships in singolare maschile dai tempi di Fred Perry 77 anni prima.
Dopo il primo divorzio da Lendl, lo scozzese lo richiamò a metà del 2016. Con Lendl accanto, vinse per la seconda volta Wimbledon e da lì iniziò la clamorosa rimonta su Djokovic che lo portò a chiudere la stagione per la prima e unica volta in carriera da numero 1 del mondo.
A 34 anni, nel 2022, lo scozzese è tornato per la terza volta ad affidarsi a lui ma l'avanzare dell'età e i seri problemi fisici hanno fatto da ostacolo nella sua volontà di risalita ai vertici del tennis mondiale. A fine 2023 si sono separati per la terza e ultima volta. "Ivan è stato al mio fianco nei momenti più importanti della mia carriera e non potrò ringraziarlo abbastanza per tutto ciò che mi ha aiutato a raggiungere. È un personaggio unico che capisce cosa serve per vincere e ho imparato moltissimo da lui nel corso degli anni" ha detto Murray.
Anche per Djokovic, aggiungere al suo team un grande campione, un numero 1 del mondo, non è una novità. Dal 2014 al 2016, il serbo ha voluto accanto a sé come coach Boris Becker. Con lui ha vinto sei dei suoi 24 titoli Slam in singolare, compreso il suo primo Roland Garros nel 2016, oltre a 14 Masters 1000. “Abbiamo raggiunto completamente gli obiettivi che ci eravamo dati quando abbiamo cominciato a lavorare insieme” ha commentato Djokovic annunciando la fine della collaborazione.
Più occasionale e informale, invece, quella con Andre Agassi tra il 2017 e il 2018. “Andre voleva genuinamente aiutare, voleva condividere la sua esperienza con me e questo dice tanto di lui come uomo. L’ho sempre ammirato come giocatore e come persona. Da lui ho imparato tantissimo non solo sul tennis, ma sulla vita in generale” ha detto il serbo.
Non ha avuto lo stesso effetto, invece, la decisione di Andy Roddick che nel 2006 ha scelto come nuovo coach Jimmy Connors. Non si può dire che sia stata una partnership negativa, però. Nei primi mesi della collaborazione Roddick ha vinto il Masters 1000 di Cincinnati e raggiunto la finale dello US Open, la sua ultima in uno Slam.
“Jimmy era fuori dal circuito da 15 anni, ma sapevo che capiva esattamente cosa avrei provato entrando in campo sull’Arthur Ashe in una sessione serale dello US Open” ha detto in una puntata del suo podcast.
Connors apprezzava l’etica del lavoro di A-Rod, a tutt’oggi l’ultimo numero 1 del mondo statunitense nel ranking ATP. “Mi ricordava me” diceva. Come ha scritto su ESPN il giornalista Joel Drucker, autore del libro ‘Jimmy Connors mi ha salvato la vita’, “l’approccio convenzionale prevede che il coach, per riuscire a generare un cambiamento, deve guardare il mondo con gli occhi del giocatore. L’approccio di Connors con Roddick era diversi: vedrai il mondo con i miei, di occhi”. Tuttavia, a parte l’inizio scoppiettante la partnership non ha aiutato Roddick a raggiungere altre finali Slam. È finita, suggerisce Drucker, “forse anche per un po’ di frustrazione da parte di Connors e per la sua difficoltà nel migliorare il tennis di Roddick proprio lì dove Connors eccelleva, nella risposta e nella transizione verso rete”.
Jimmy Connors coach di Andy Roddick (Getty Images)
Diverse, più affettive verrebbe da dire, le ragioni che hanno spinto Roger Federer ad affidarsi a Stefan Edberg nel biennio 2014-15 e Rafa Nadal a volere accanto l’amico Carlos Moya dal 2017. Federer non ha mai nascosto come Edberg sia stato il suo idolo e ha parlato della partnership con lo svedese come “di un sogno realizzato”. Durante la collaborazione, che inizialmente avrebbe dovuto durare un anno ed è stato poi prolungato per un secondo, Federer ha vinto il Masters 1000 di Shanghai del 2014 e raggiunto tre finali Slam, due a Wimbledon e una allo US Open (2015).
Avere Moya accanto negli ultimi anni della sua carriera ha significato per Nadal affidarsi a un amico. Si sono conosciuti quando Nadal aveva 11 anni. Moya ha aiutato Rafa a rendere il suo tennis più aggressivo e ad aggiungere altri otto titoli Slam alla sua bacheca.
In questa antología, infine, non può non rientrare la collaborazione tra Juan Carlos Ferrero e Carlos Alcaraz iniziata quando il murciano aveva 15 anni, nel 2018. La partnership ha prodotto quattro titoli Slam su quattro finali e ha aiutato Alcaraz a diventare nel 2022 il più giovane numero 1 nell’era del ranking ATP computerizzato, introdotto nel 1973.
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